Vediamo ora di trattare del canto 23 dell’inferno di Dante dal verso 61:
Nei passi meno appariscenti si nasconde quello che lo scrittore vuole comunicare. Gli elementi spettacolari\teatrali dei canti precedenti, in questo canto sono meno facili da seguire. Se è vero che in questo parte domina l’amore e che questo attira di più il lettore. Nella tragedia ciò che attira la curiosità dello spettatore sono me scene orrorose e crude. Questo poema è il racconto di un viaggio. Necessità di non perdere di vista coloro che stanno facendo questo viaggio. Virgilio rappresenta la ragione, ha i 4 punti cardinali, gli manca solo la fede. Il fatto di avere un personaggio in più gli permette di avere scene diverse. Questa guida è un personaggio che non si è salvato, da un punto di vista dottrinale non può sapere tutto, infatti con la sola ragione non ci si salva, in vari episodi ha dimostrato la sua debolezza, per ex alla fuga dei barattieri. Dopo che i due personaggi si sono salvati, inizia la descrizione degli ipocriti. L’ipocrita è colui che finge, colui che simula.
v. 61 polemica verso le eleganze, decorare le toniche in modo eccessivo. Gli ipocriti per il peso che portano camminano molto lentamente. Dante ha la necessità di far parlare qualcuno e di far raccontare qualcosa. Necessità di ampliare quella che dovrebbe essere l’esperienza del viator, conoscendo meglio il mondo, conosce meglio sé stesso. Discorsi che si riportano all’esperienza umana. Tecniche a cui si ricorre: o si incuriosisce Dante o lo stesso peccatore si intromette nella scena.
v. 88-89 meraviglia, topos della letteratura ‘’ non sembra morto, perché si trova qui?’’
v.94 molte citazioni di Firenze, Dante deve dimostrare nostalgia della città, lui è esiliato e condannato a morte posizione difficile. Ogni tanto mostra orgoglio per essere nato fiorentino.
Il pianto in Dante ha una quantità di significati molto estesa. Questo pianto di dannati è negativo, è il frutto di una sofferenza infinita ed eterna.
‘’ Frati godenti ‘’ conferma che la commedia è stata scritta per i lettori del tempo. Espressioni tagliate ma fortemente allusive. Chiamati Frati perché erano davvero dei frati , non sta a significare il termine fratelli perché nell’inferno non c’è possibilità di solidarietà tra i dannati ma solo odio. I frati erano stati potestà di Firenze, avevano fatto buona prova di sé in un’altra città. I potestà non appartenevano alla città poiché dovevano essere super partes, per dare una garanzia di maggiore oggettività. I due frati prendono la parte dei guelfi dopo un incontro nascosto del papa. I due frati si sono fatti influenzare e hanno fatto il contrario di quello che avrebbero dovuto pur sostenendo di essere nel giusto. Questo canto serve a spostare l’attenzione sul viator e su Virgilio.
V. 110-123 qui Dante è parla male degli ebrei , in particolare di Caifa e gli altri del Sinedrio colpevoli della morte di Cristo. L’ accusa di coloro che hanno permesso la crocifissione di Cristo per Dante è giusta.
v. 124 Virgilio non può sapere niente di questa cosa. Si trova in un contesto che non gli è familiare. Prima è mostrato in difficoltà con i diavoli e ora non sa di cosa stanno parlando. Il Limbo rappresenta il suo eterno esilio, non c’è pianto c’è solo sospiro per un qualcosa che non potranno mai avere. Dante non salva Virgilio per alcuni motivi, se avesse voluto avrebbe trovato il modo. Virgilio è un personaggio colto che però rimane emarginato. Noi non sappiamo se alla fine del mondo dal Limbo verranno salvate anche le anime che vi risiedono.
v. 128-132 sorta di costruzione psicologica, l’attenzione si focalizza su Virgilio anche attraverso indizi leggeri e permette allo scrittore di far venire fuori un personaggio più sfaccettato, meno ieratico. Questa figura ha qualche inclinatura sebbene in ambito umane raggiungesse alte vette di cultura e filosofia, non è un essere perfetto. Infatti colui che è la vera guida ha demandato ai diavoli di fare la guida decisione stupida. Virgilio chiede ai frati dov’è il ponte. Rispondono ‘’ dovete passare attraverso una petraia’’. Qui Dante non rinfaccia a Virgilio che il diavolo ha mentito.
v. 142-144 battuta breve derisoria, il diavolo, Bologna è la città della cultura per antonomasia ,che il diavolo sia menzognero dovrebbe essere una cosa da dare per scontata. Ennesima conferma che Dante vuole fare un’analisi della fenomenologia del male. Il male si può presentare anche come qualcosa che in apparenza può sembrare positiva.
V.145 Virgilio si sente vergognato. Dante sta zitto, lo venera, lo riconosce come suo maestro anche se ha presentato delle carenze. La tensione drammatica viene raggiunta attraverso situazioni particolari che permettono di scrutare quello che è il comportamento umano. Realtà mutevole e imprevedibile. Dante attraverso l’ admirabilis vuole far si che il lettore subisca una lezione morale.
Vuoi ridare un’occhiata al testo del canto 23 dell’inferno mentre leggi l’analisi? Ecco il testo:
Taciti, soli, sanza compagnia
n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
come frati minor vanno per via. 3Vòlt’era in su la favola d’Isopo
lo mio pensier per la presente rissa,
dov’el parlò de la rana e del topo; 6ché più non si pareggia ’mo’ e ’issa’
che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
principio e fine con la mente fissa. 9E come l’un pensier de l’altro scoppia,
così nacque di quello un altro poi,
che la prima paura mi fé doppia. 12Io pensava così: ’Questi per noi
sono scherniti con danno e con beffa
sì fatta, ch’assai credo che lor nòi. 15Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa,
ei ne verranno dietro più crudeli
che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’. 18Già mi sentia tutti arricciar li peli
de la paura e stava in dietro intento,
quand’io dissi: «Maestro, se non celi 21te e me tostamente, i’ ho pavento
d’i Malebranche. Noi li avem già dietro;
io li ’magino sì, che già li sento». 24E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro,
l’imagine di fuor tua non trarrei
più tosto a me, che quella dentro ’mpetro. 27Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei,
con simile atto e con simile faccia,
sì che d’intrambi un sol consiglio fei. 30S’elli è che sì la destra costa giaccia,
che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,
noi fuggirem l’imaginata caccia». 33Già non compié di tal consiglio rendere,
ch’io li vidi venir con l’ali tese
non molto lungi, per volerne prendere. 36Lo duca mio di sùbito mi prese,
come la madre ch’al romore è desta
e vede presso a sé le fiamme accese, 39che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
avendo più di lui che di sé cura,
tanto che solo una camiscia vesta; 42e giù dal collo de la ripa dura
supin si diede a la pendente roccia,
che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura. 45Non corse mai sì tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno,
quand’ella più verso le pale approccia, 48come ’l maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sovra ’l suo petto,
come suo figlio, non come compagno. 51A pena fuoro i piè suoi giunti al letto
del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle
sovresso noi; ma non lì era sospetto; 54ché l’alta provedenza che lor volle
porre ministri de la fossa quinta,
poder di partirs’indi a tutti tolle. 57Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta. 60Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
che in Clugnì per li monaci fassi. 63Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia. 66Oh in etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto; 69ma per lo peso quella gente stanca
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogne mover d’anca. 72Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi
alcun ch’al fatto o al nome si conosca,
e li occhi, sì andando, intorno movi». 75E un che ’ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: «Tenete i piedi,
voi che correte sì per l’aura fosca! 78Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi».
Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta
e poi secondo il suo passo procedi». 81Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
de l’animo, col viso, d’esser meco;
ma tardavali ’l carco e la via stretta. 84Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco
mi rimiraron sanza far parola;
poi si volsero in sé, e dicean seco: 87«Costui par vivo a l’atto de la gola;
e s’e’ son morti, per qual privilegio
vanno scoperti de la grave stola?». 90Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio
de l’ipocriti tristi se’ venuto,
dir chi tu se’ non avere in dispregio». 93E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto
sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,
e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto. 96Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
quant’i’ veggio dolor giù per le guance?
e che pena è in voi che sì sfavilla?». 99E l’un rispuose a me: «Le cappe rance
son di piombo sì grosse, che li pesi
fan così cigolar le lor bilance. 102Frati godenti fummo, e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
nomati, e da tua terra insieme presi, 105come suole esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
ch’ancor si pare intorno dal Gardingo». 108Io cominciai: «O frati, i vostri mali…»;
ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse
un, crucifisso in terra con tre pali. 111Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse, 114mi disse: «Quel confitto che tu miri,
consigliò i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a’ martìri. 117Attraversato è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch’el senta
qualunque passa, come pesa, pria. 120E a tal modo il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio
che fu per li Giudei mala sementa». 123Allor vid’io maravigliar Virgilio
sovra colui ch’era disteso in croce
tanto vilmente ne l’etterno essilio. 126Poscia drizzò al frate cotal voce:
«Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
s’a la man destra giace alcuna foce 129onde noi amendue possiamo uscirci,
sanza costrigner de li angeli neri
che vegnan d’esto fondo a dipartirci». 132Rispuose adunque: «Più che tu non speri
s’appressa un sasso che de la gran cerchia
si move e varca tutt’i vallon feri, 135salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia:
montar potrete su per la ruina,
che giace in costa e nel fondo soperchia». 138Lo duca stette un poco a testa china;
poi disse: «Mal contava la bisogna
colui che i peccator di qua uncina». 141E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’
ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna». 144Appresso il duca a gran passi sen gì,
turbato un poco d’ira nel sembiante;
ond’io da li ’ncarcati mi parti’dietro a le poste de le care piante. 148