La ginestra o Il fiore del deserto è la penultima lirica di Giacomo Leopardi, scritta nella primavera del 1836 a Torre del Greco nella villa Ferrigni e pubblicata postuma nell’edizione dei Canti nel 1845. Il vasto poemetto conclude (insieme a Il tramonto della luna) il suo complesso e prolifico percorso poetico, tanto da essere considerato il testamento spirituale di Leopardi. Esso fa parte di quella che è stata definita dalla critica più recente la poetica anti-idillica dell’ultimo periodo leopardiano. Vedi wikipedia >>>
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Appunti sull’analisi della Ginestra di Giacomo Leopardi:
La Ginestra è senz’altro uno dei capolavori della lirica leopardiana e del nostro 800 italiano.
A un certo punto si tende a sopravvalutare certi scrittori o componimenti: è un quadro vario, quindi bisogna fare attenzione quando si studia la letteratura. In uno scrittore come Leopardi si possono trovare molte cose: perchè ha scritto molto e ha variato, allora permette a un critico di partire da una posizione, di privilegiare una parte e quindi si da poi una visione parziale dell’opera.
La Ginestra è un testo complesso e la riflessione di Walter Binni è stata importante per rivalutare tutto l’ultimo Leopardi. Negli ultimi decenni si studiava Leopardi sono sui Piccoli e Grandi Idilli, una fase della fine del secondo trentennio, con alcuni punti fermi. Arrivando al “Pensiero dominante” non attirava più l’attenzione. E’ difficile negare che i Grandi Idilli sono il massimo dell’espressione leopardiana, ma ormai le rivalutazioni estetiche si rifacevano al periodo del 900 dominato dall’estetica crociana. Questo svolta nella seconda parte del 900 ha permesso di dare una valutazione diversa dello scrittore, e anche dal punto di vista dei contenuti, bisogna ribadire che la visione del mondo di Leopardi è atea e di pessimismo radicale. Sorge il problema di valutare tutto questo attraverso i testi. La differenza tra Dante e Leopardi è che il primo vuole che il lettore lo senta, il secondo non vuole un lettore discepolo, sarebbe contraddittorio rispetto a quello che scrive, vuole indagare e proporre delle visioni alternative del tempo, per lui la letteratura deve essere un’operazione che vuole essere non convenzionale, vuole porre in crisi il lettore più che indottrinarlo. E’ una letteratura che può sembrare negativa ma non lo è, solamente non ha più delle certezze da trasmettere al lettore. Lo strumento letterario in nei nostri tempi non si pone più il problema di far si che il poeta diventi il sostenitore di valori e ideali condivisi. Questo è un fenomeno vasto. E’ sempre più difficile individuare e fotografare un quadro. In Europa dalla metà del 900 il quadro è più complesso perchè non esiste più nello scrittore l’ossessione della coerenza. In questa situazione il caso Leopardi, che è particolare e collocato in un periodo storico sorprendente, pone una problematica che sarà più compresa nel secondo 800.
Leopardi scrive la Ginestra a poca distanza dalla morte. In questo periodo Leopardi ha come la sensazione di essere arrivato alla fine. Questa situazione drammatica dal punto di vista delle forze fisiche, fu colta anche da Ranieri e da sua sorella che portarono il Leopardi in una villa alle pendici del Vesuvio: questo paesaggio alternativo, il fatto di essere bello ma vicino a una città malata (Napoli che era l’unica metropoli e città difficile, per secoli fu la più popolosa), e il contrasto tra questa natura con la presenza incombente del Vesuvio e poi gli scavi. Il testo è costruito in modo complesso e articolato, è molto lungo, che supera 300 versi, sempre in canzone libera. Abbiamo delle strofe lunghe all’interno della quali si argomentano dei concetti, quando si passa ad un’altra stanza abbiamo un salto.
Nella parte iniziale c’è un discorso descrittivo: si da il quadro. L’inizio è l’introduzione che serve allo scrittore per dare al lettore il quadro naturale, come all’inizio dei Promessi Sposi. Qui i punti importanti sono: natura, uomo, storia. Abbiamo uno stile non particolarmente difficile. Rispetto ai testi precedenti si nota un elogio dello scrittore non troppo giocato sull’inversione, i periodi sono lunghi ma più facili e anche per quanto riguarda il linguaggio è uno stile diverso. L’attacco, dal punto di vista stitico, è un incipit del Leopardi degli inizi, ma la differenza è che viene rappresentata una natura con degli aspetti che devono apparire subito inquietanti e pericolosi. Siamo in un quadro naturale in cui ogni verso c’è almeno una parola che rimanda alla categoria del lessico inquietante. Se eravamo abituati ad avere una natura con un’apertura dolce, rimando a una natura amena e piacevole, tutto questo, sempre riferendosi all’effetto, cambia. Cominciare a descrivere il Golfo di Napoli con questi termini era una scelta alternativa dello scrittore. Il dialogo è con un fiore particolare, che nasce in una situazione pericolosa, ed è solitario. Sono esperienze probabili che lo scrittore abbia fatto, ma questo non significa molto, questo vuol dire che nelle sue passeggiate lui ha voluto privilegiare questo. La Ginestra si accontenta dei deserti: non è qualcosa di invitante. La scelta dello scrittore è di descrivere qualcosa di bello che ha fatto la scelta di privilegiare come terreno la zona del Vesuvio, in alto, dove non c’è più niente di vegetazione. Lo scrittore dice che ha visto anche altre Ginestre: a Roma, la quale viene ricordata per il fatto di essere stata padrona del mondo ai tempi. A Roma si vedevano i resti dell’impero, delle colonne, degli archi, dell’acquedotto, o la Via Appia. Non si aveva una ricostruzione esatto di quello che si vedeva. Questi archi erano troneggianti e magnifici ma appartenevano alla civiltà pagana e quindi di metteva qualcosa attaccato che lo rendesse cristiano. Il tema delle rovine era importante nella letteratura: poter parlare dello scorrere del tempo e della fama. I monumenti sono ormai privi di una loro funzione precisa. Questo è in funzione di un discorso che si svilupperà in seguito. La vede nel suolo dove è rimasta da sola e dove sono probabilmente accadute delle disgrazie: sono campi infecondi, mentre nell’Idillio la natura era rappresentata come feconda. Qui il terreno è coperto dalla lava: non è più una passeggiata piacevole perchè c’è la lava (nota realistica) sulla quale si cammina e i passi fanno suoni particolari. Ci sono due animali non nobili, mentre negli Idilli c’erano animali differenti. Uno è un coniglio che è un animale basso, non amato dal poeta. Il coniglio è un animale che viene cacciato e mangiato e non appartiene a una selvaggina nobile, e una serpe che nella tradizione non ha mai avuto valenza positiva. Abbiamo un eco a certe espressioni tipiche della poesia classica di quando Giove colpiva certe città (“fulminando”).
“La ruina involve” due termini nobili nella letteratura, due espressioni che mandano a una decadenza dovuta a fenomeni drammatici. “Involve” nel senso di circondare, di chiudere ogni possibilità, è anche un verbo amato da Foscolo. Nel verso 35 abbiamo un primo indizio dello scrittore, abbiamo una chiave di lettura. Questo fiore è gentile: aggettivo di quelli che uno che ricorda lo stilnovo, ricorda gli albori. E’ possibile che la ginestra possa commiserare i danni? Abbiamo un dialogo con analogie e differenze: una proposta che dal punto di vista realistico è improponibile. La ginestra, che è un fiore odoroso, gentile e dolce, di quelli che si portano nei cimiteri, manda un profumo, può questo profumo consolare il deserto? No. Il fiore da una capacità di consolare il deserto. I due elementi ritornano qui con una possibilità di una ginestra che sembra, a colui che passeggia, consolare, anche se in realtà non è così. Siamo in un discorso tradizionale: lo scrittore recupera dei topoi della nostra tradizione, idea di colui che cammina, e camminando pensa, e pensando ha delle emozioni e impressioni, e in questo caso l’impressione che ha colui che cammina è che questo fiore sia in grado di consolare il deserto. Il deserto è qualcosa che da un lato la storia e dall’altro la natura possono distruggere tutto e ridurre al silenzio: è il male più grave. Foscolo alla fine dice che l’unica cosa che può sconfiggere il silenzio è a poesia. Foscolo è utilizzabile solo fino a qui perchè poi le loro idee vanno a divergere. Leopardi non accetta l’idea foscoliana del poeta vatae: tramandare ai posteri. L’idea della ginestra è che questo silenzio è possibile supertarlo. Non è possibile sconfiggere la natura ne illudersi di pensare che ci possa una palingenesi per la quale gli uomini non si facciano più la guerra e ci sia un progresso infinito. Di fronte a queste idee noi dobbiamo dire che c’è qualcosa di ancora di positivo che è isolato che vive in territori brulli accanto a un pericolo costante (se ci fosse l’eruzione anche la Ginestra verrebbe distrutta, ma lei resiste). Dal verso 37 inizia la parte polemica: chi crede che ci sarà un progresso venga a vedere qui come la natura non si cura dell’uomo. L’uomo guardando quello che c’è intorno a noi che si può specchiare e vedere che si ha un’idea di umanità stupida che, abbandonato il pensiero giusto e veritiero, si “volge all’indietro”. Arriva a dire che forse il modo di parlare della felicità che arriverà per il mondo moderno, non è nemmeno condivisa a tutti, che vi aderiscono solo in quanto rappresenta l’ideologia dominante. Non esiterà a dire quello che pensa e non gli importa di prendere una posizione contraria.
“Libertà vai sognando” è una citazione dantesca nel Purgatorio, nell’episodio di Catone. Qui lo scrittore cita un episodio noto della Commedia (I canto) dove Dante pone un pagano suicida (Catone): ciò che conta per Leopardi è la coerenza della ricerca della libertà autentica, quindi la scelta di Dante corrisponde a una posizione aggressiva rispetto all’opinione pubblica del tempo. Dice che il suo secolo sta arretrando: non si rifà all’idee dell’Illuminismo e ritorna nella barbarie (verso 75). Dal verso 84 dice che lo sciocco ritiene colpevole chi è rimasto attaccato al vero. La vera filosofia ce l’hanno lasciata l’illuministici e non i Romantici.
In questo testo ci sono molte novità: proposte di un rapporto civile di convivenza tra gli uomini. Lo scrittore è preoccupato che i lettori pensino che lui ha cambiato idea. Lunghezza del testo: da un lato lo scrittore vuole ribadire la situazione del mondo e dall’altro lato c’è l’accusa di spingere l’intellettuale a un’emarginazione totale, impossibilità di progresso che era collegato a un rischio di conflittualità generale e inutilità dell’azione. Nel testo ci sono degli alternarsi di temi: rappresentazione di uomini, natura e storia. I temi in alcuni casi sono immutati, in altri hanno delle trasformazioni.
Leopardi non si poneva i problemi dei filosofi, aveva una cultura vasta ma si sentiva come vocazione l’essere poeta.
Dal verso 87: fa i soliti discorsi. Non pensa che l’uomo abbia una possibilità di avere una splendida vita e ricchezza. Non deve mostrarsi più di quello che è, ma dire le cose come stanno: deve esserci una sincerità, deve essere veritiero, in grado di non dire ciò che il pubblico vuole o il potere pretende, ma deve ergersi una verità acquisita con gli studi.
Ritorna ad un discorso filosofico e usa un linguaggio non poetico ma colloquiale: c’è una grande ripetizione di enjambement. C’era esempi in abbondanza: mito di Atlanta o il famoso terremoto del 700.
Verso 116-117: usa espressioni tipiche della tragedia. Abbiamo un riuso di termini di altri generi per fini strumentali. La natura diventa forte nel soffrire e in una brutta situazione non scatena la tempesta. Chi cade in basso è portato a scatenare il male su altre persone: vicine o popoli (guerre), mentre l’uomo dovrebbe incolpare la natura (vecchia idea leopardiana ma la riusa in modo diverso: l’obiettivo di sposta a quale deve essere il rapporto dell’uomo con altro da se, tra il singolo soggetto e altri soggetti). La proposta è della compartecipazione, o come dice Leopardi “confederati”: uomini alleati tra di loro per combattere contro le avversità. “Vero amor” è un termine allusivo: amore come pietas o caritas? Nessuna di queste connotazioni è valida, e l’amore è un concetto in cui c’è solidarietà tra gli uomini, tra gli animali. Il problema nasce dal fatto che l’uomo ha scoperto il vero e ora ha un desiderio che vuole realizzare, ma tutti i desideri o non si realizzano o si realizzano ma non durano.
Dal verso 140: c’è un discorso che risalta la sua originalità rispetto ai discorsi dell’800 che prevedevano il conflitto e la guerra. Leopardi sostiene che questi atteggiamenti portano conflittualità anche in ambiti minori. Leopardi era memore di quello che accade in Italia tra il 400 e il 500. C’è sulla scia di una cultura ottocentesca la necessità di dire la verità che può arrivare con “l’onestà e il retto” e non con le stupidaggini diffuse nelle gazzette.
Dal verso 158 al 183 l’autore riporta il discorso a se per ricordare altri suoi testi che sono stati concepiti così: eco che viene qui ripreso quando dice che contempla di notte e vede “fiammeggiar le stelle” che rimandano a un altro mondo. “Stelle” è una sfida di Leopardi al lettore attento, è un’allusività. Il lettore non solo deve pensare che lo scrittore sta riprendendo passi antichi di altri scrittori, ma anche che bisogna collegare questo discorso a termini che lui ha usato in altre sue poesie. Le stelle sono piccole luci, piccoli punti. I punti da vicino sono grandi e di fronte a tutto questo l’uomo e il globo sono nulla. “Nebulose” gli paiono nebbia, è il limite del conoscibile dell’uomo. Il proiettarsi verso l’universo è qualcosa che l’uomo non sa concepire.
Al verso 183 c’è una domanda retorica “che sembri allora o prole dell’uomo?”. La capacità dell’uomo è di vedere il paesaggio, guardare il passato e l’unico risultato è la consapevolezza di potere elaborare intellettualmente. Lo scrittore esprime quello in cui crede ma esprime qualcos’altro. Nella parte seguente il discorso si fa ambiguo: “che te signora e fine credi tu è data al Tutto”, c’è una polemica a Genesi della Bibbia. Il discorso viene capovolto, non si critica direttamente la religione cristiana, vengono chiamati gli Dei e non il Dio cristiano: “scender gli autori”. Questa età è convinta di avanzare “una conoscenza di civil costume”: ogni periodo è convinto di essere migliore del precedente, chiodo fisso di Leopardi. Dal suo punto di vista letterario ha pretese profetiche con stampo etico. Leopardi pone un problema: un intellettuale ostile al mondo, che effetto produce? L’intellettuale all’opposizione è qualcosa di diverso perchè si accetta in contraddittorio, un confronto, mentre Leopardi è a tale distanza da non riuscire a portare qualcuno dalla sua parte. Nelle “Operette morali” ci sono dei dialoghi dove i due non si capiscono mai (a parte quello tra Plotino e Porfirio), e chi ha ragione prende in giro l’altro.
Verso 201: “il riso o la pietà”, non c’è un’opposizione, ma convivenza dell’intellettuale che marca negativamente la società, ma può alternare ad essi un discorso dei “confederati” mettendo da parte questa ostilità. Dal 201 al 230 c’è un virtuosismo letterario. Inizia con una similitudine: un frutto marcio cade su un formicaio e lo distrugge come il Vesuvio può distruggere la città. C’è una descrizione enfatica della distribuzione. C’è una capacità di traversare di termini dell’idillio e mescolarli con altri che trasformano la descrizione in qualcosa di apocalittico. Tutto quello che l’uomo ha costruito nel tempo viene distrutto in un attimo. Adesso si sono costruite dopo secoli altre città e quelle precedenti sono “prostrare”: tendenza dell’uomo a dimenticare e a poter costruire perchè pensa che quello che è accaduto una volta non possa ripetersi più, invece non è così. Alla natura non importa di nulla: uomo e formica sono sullo stesso piano. Ci sono più formiche che uomini. Ricorda l’esplosione del Vesuvio del 79 d.C. Nonostante questo il riferimento è al lavoro dell’uomo: il contadino ha paura che possano ripetersi queste cose e possano distruggere il suo lavoro, la sua casa e la sua famiglia. Quando comincia la fase dell’eruzione c’è bisogno di vedere: tutto questo porta a una visione concreta e si spinge alla luce di notte; abbiamo un’immagine capovolta del bel Golfo di Napoli, si guarda a questo quando potrebbe finire.
Dal verso 260 abbiamo l’immagine della lava che si avvicina lenta. Rimanda alle esperienze che Leopardi o aveva letto o aveva sentito raccontare: loro salvano qualcosa ma non fuggono completamente e vedono dolorosamente la loro casa e i campi che vengono distrutti dalla lava. Dopo tanta dimenticanza ci furono delle iniziative culturali di scavare Pompei: scavi per riportare alla luce. Si vede quello che resta e si immagina questa prospettiva falsata: il Vesuvio fuma, quindi la minaccia è costante. Leopardi ama i notturni che possono avere suggestione lirica: questo scenario notturno è forzato, sembra strano che una persona contempli la lava che scende passeggiando tra le rovine di Pompei. Questo ha un motivo: solo col buio la lava rosseggia, quindi abbiamo un’invenzione artificiosa di una visione che coinvolge il soggetto che vede le rovine e nel contempo vede il potenziale pericolo, e questo è anche leggermente “deformato dalla notte” con le ombre e crea un’atmosfera quasi paurosa (“dove partoriscono i pipistrelli”).
Verso 284: “face” può essere la luce della verità, e viene abbinato all’aggettivo “sinistra”, abbiamo il ricordo di una paura, di un’aspettativa inquietante. Abbiamo anche una ricerca di scenari e quadri diversi. La natura è l’unica cosa sicura e i suoi tempi non si possono capire. Mentre ci affacciamo sul presente riteniamo che la nostra civiltà possa andare avanti per l’eternità, importante perchè questa riflessione positiva viene messa proprio dopo una scena di paura .
Siamo al finale: ritorna la Ginestra. L’allegoria del fiore è che accadrà l’eruzione il fiore verrà coinvolto, soccomberà. E’ “lenta”, ovvero flessibile, che può essere anche l’essenza dell’uomo. Non è un atteggiamento di debolezza, l’uomo deve avere consapevolezza del vero (questo è qualcosa di incontestabile). Nella vita dell’esistenza l’atteggiamento migliore è avere la consapevolezza di essere flessibile: adeguarsi alla situazione. Se la flessibilità non può evitare la morte della Ginestra, si ha comunque qualcuno che rimane però (nel pensiero) non assumerà l’atteggiamento codardo di chi ha paura di pregare e nemmeno forsennato di chi guarda le stelle negando l’evento delle cose. Dice che la Ginestra è saggia (aggettivo in realtà attribuito all’uomo) e meno debole dell’uomo, non avrà atteggiamenti per cui le nostre deboli origini; non crederai che siamo immortali dal fato o dal te.
Chiusura: prevedibile.
C’è il fatto che prima con termini pacati, senza sicurezza, fa delle affermazioni per stabilire l’unica posizione corretta che deve prendere l’uomo.
Il modello deve essere la Ginestra: non disperiamoci e non preghiamo, non pensiamo che il destino sia legato al progresso.
L’800 segue non allargarsi del pubblico: è un progresso, ma dal punto di vista letterario non danno la garanzia della felicità. L’oratoria per convincere deve fare delle promesse, deve suscitare una reazione con componente emotiva. Tutto questo conferma l’atteggiamento dello scrittore. Il suo discorso rimane severo fino alla fine: sostiene di fronte al suo immutato atteggiamento da un lato irride chi crede nel progresso e propone un atteggiamento serie e demistificatore, ma dall’altro dice che è sbagliato il conflitto. Il ruolo dell’intellettuale è quello della Ginestra: può essere poesie e profeta che non vuole essere il portavoce ma dice la verità. Può essere che il messaggio della Ginestra venga distrutto dal Vulcano ma lui non può fare altro.
Link utili per l’analisi della Ginestra di Giacomo Leopardi:
Analisi della Ginestra di Giacomo Leopardi (Oilproject) >>>