Erano trascorsi 800 anni, dal sacco dei Galli guidati da Brenno, e Roma ignorava che volesse dire invasione dello straniero Ma le orde barbare dei Visigoti, capitanate da Alarico, ubriacate da quindici anni di saccheggio entro i confini dell’Impero, rumoreggiavano ormai a breve distanza dalle sue porte.
Da più di un secolo la potenza dell’Impero lentamente declinava, mentre si moltiplicavano le forze e l’audacia delle feroci tribù annidate nelle foreste o accampate nelle steppe al nord del Danubio: cupide di ricchezze e di stragi. Onorio, il debole imperatore d’Occidente, chiuso in Ravenna, resa forte dal mare e da estese paludi, occupava il suo tempo nell’allevamento dei polli.
Stilicone, il più abile dei suoi generali, sebbene anch’egli di sangue barbaro, aveva battuto i barbari già due volte: la prima nel cuore della Grecia, la seconda sulle rive del Po. Ma Stilicone accusato di poca fedeltà era stato perfidamente messo a morte per ordine del codardo imperatore; l’Italia e Roma rimanevano così prive di difesa. Il popolo di Roma, mentre reggeva all’assedio, cercava di ottenere che il teutono condottiero desistesse e si allontanasse, anche a costo di un compenso da stabilirsi.
La somma di riscatto richiesta fu così alta che i Romani risposero che non potevano pagarla, ed osarono, finalmente, ricordare all’insolente nemico che essi erano in numero ben maggiore. Alarico non si scosse: «Più folto è il fieno, replicò duramente, e più facile è il falciarlo».
Finalmente dietro il pagamento di 5.000 libbre d’oro, 30.000 talenti d’argento, oltre a doni di pelli, e tuniche di seta, l’assedio della città fu tolto. Ma poco dopo, quando l’imperatore, al sicuro nelle sue paludi di Ravenna, venne meno alle promesse, Alarico riprese l’assedio e superate le difese della città eterna la saccheggiò.