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Enea: frasi celebri e citazioni sull’eroe dell’Eneide

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Fuga di Enea da Troia, Federico Barocci – 1598 – Galleria Borghese – Roma

Enea è una figura della mitologia greca e di quella romana, era figlio di Anchise e di Afrodite; era il nipote di Priamo, re di Troia; il poeta greco Ellanico ne descrive il suo arrivo nel Lazio, la provincia italica che vedrà gli inizi dell’impero romano, mentre Virgilio ne narra la leggenda nella sua Eneide.

Di seguito le citazioni e le frasi più famose pronunciate da Enea nell’Eneide.

Sono il pio Enea, noto per fama oltre i cieli, e con la flotta mi porto appresso i Penati scampati al nemico. Cerco la patria Italia e gli avi miei, nati dal sommo Giove. (I, 378-380)Sum pius Aeneas, raptos qui ex hoste Penates | classe veho mecum, fama super aethera notus. | Italiam quaero patriam et genus ab Iove summo.


Sorgi, vendicatore, dalle mie ossa.
(Frase pronunciata da Didone morente contro Enea, in Eneide)


“O mille volte beato chi ebbe la fortuna
di morire davanti agli occhi di suo padre
sotto le mura di Troia! O Tidide, il più forte
dei Greci, avessi potuto spirare sotto i tuoi colpi
nei campi d’Ilio, dove, ucciso dal figlio di Teti,
il forte Ettore giace, dove giace l’immenso
Sarpedonte ed il fiume Simoenta travolge
tanti scudi, tanti elmi, tante salme d’eroi!”


“O amici (siamo avvezzi da tempo alle sventure),
o voi che avete sofferto malanni ben più gravi:
un Dio metterà fine anche a questi! Con me
vedeste da vicino il furore di Scilla,
gli scogli risonanti nel profondo, vedeste
le rupi dei Ciclopi. Coraggio, allontanate
ogni triste paura: un giorno ci sarà
gradito rievocare, forse, questi travagli.
Traverso tante vicende, traverso tanti pericoli
andiamo verso il Lazio, dove i Fati ci additano
sedi tranquille e dove, per volere dei Fati,
risorgeranno alfine i dominii di Troia.
Tenete duro e serbatevi ad eventi migliori!”


O Dea,
se risalissi all’origine delle nostre disgrazie
e tu volessi ascoltare la storia dei nostri travagli,
prima di aver finito si chiuderebbe il cielo
ed Espero porrebbe fine alla luce del giorno.


Enea riconobbe la madre
vedendola andar via e le disse: “Crudele
anche tu, perché inganni continuamente il figlio
con mentite sembianze? Perché non posso stringerti
la mano, sentirti parlare, risponderti a viso aperto?


Enea splendette nella chiara
luce simile a un Dio; bellissimo di viso
e di corporatura; poiché la stessa Venere
col suo soffio divino aveva dato al figlio
una chioma stupenda e la purpurea luce
di giovinezza ed occhi soavemente brillanti.
Così l’artista aggiunge splendore al chiaro avorio,
così l’oro abbellisce l’argento o il marmo pario.

(Enea viene descritto da Virgilio mentre giunge al cospetto di Didone, regina di Cartagine)


Vedo bene che i venti
ci comandano di fare così, e che invano ti opponi.
Cambia rotta. V’è forse una terra più cara,
potrei sceglierne una più adatta alle stanche mie navi,
della terra che alberga il dardanide Aceste,
che custodisce nel grembo la salma del padre Anchise?


I premi son vostri, ragazzi,
nessuno vuol cambiare l’ordine d’arrivo;
ma voglio consolare un amico innocente.”
Così detto dà a Salio la pelle d’un leone
di Getulia, dal vello spesso e dalle unghie dorate.


O nato di Dea, se nessuno osa battersi,
è inutile perdere tempo e fermarci ad aspettare.
Lasciami prendere il premio.


Dove vai, dove ti precipiti, o padre?
Perché mi lasci? Chi ti strappa al mio abbraccio?


Vergine,
non c’è nessuna fatica che mi giunga inattesa
o che mi sembri nuova; ho previsto già prima
tutto, ho già soppesato tutto nella mia anima.


Vergine, che vuol dire questo affollarsi al fiume?
Che vogliono le anime? E per quale motivo
alcune sono costrette a abbandonare la riva
mentre le altre coi remi solcano l’onda livida?


Che la Fortuna ha voluto pregassi
con l’offerta di rami di pace ornati di bende!


“Dammi dei giavellotti, quelli
che rimasero infitti nel corpo dei Greci
sulle pianure di Troia: non ne voglio lanciare
nessuno invano.”
-(Enea si rivolge al fido Acate)


Lùcago, no
non sono stati i cavalli recalcitranti a tradire
il tuo cocchio o a travolgerlo, adombràti da qualche
spauracchio del nemico: sei caduto da solo,
abbandonando il giogo.


Non così parlavi prima. Muori,
e non abbandonare tuo fratello.


Ora dov’è quel feroce Mesenzio, quel suo animo atroce?


Sii testimone, o sole,
e tu, terra, che invoco e per la quale tanti
travagli ho sopportato, e tu, o Onnipotente,
e tu Saturnia (Dea, te ne prego, sii più
mite verso di me!), e tu, glorioso Marte,
Padre che imprimi a tutte le guerre la tua volontà;
siatemi testimoni voi, fontane, che invoco,
e voi fiumi, e voi quante Divinità abitate
nel cielo altissimo e in fondo all’oceano ceruleo:
se vincerà l’Ausonio Turno, siamo d’accordo
che i vinti si ritirino nella città di Evandro
e Iulo vada via dalla regione; mai
in seguito gli Eneadi dovranno ribellarsi
in alcuna maniera, o portare la guerra
a questi regni. Se, invece, la vittoria
sarà mia allora
non chiederò che gli Itali obbediscano ai Teucri,
non pretenderò il regno: i due popoli, invitti
entrambi, si uniranno con alleanza eterna
e leggi eguali. Sarò io a stabilire i culti
e gli Dei dello Stato; mio suocero Latino
terrà il potere supremo civile e militare.
I Teucri eleveranno nel cielo le mie mura;
darà Lavinia il nome alla nuova città.


 

Le fonti delle citazioni e delle frasi più famose di Enea

Enea appare nell’Iliade, dove prende parte alla battaglia, affrontando Diomede, Achille e Idomeneo. Nel poema omerico è un eroe protetto dagli dei, soprattutto durante lo scontro con Achille, dove Poseidone gli salva la vita. Nonostante la caduta di Troia, Enea sopravvive.
Dopo la caduta di Troia, Enea, guidato dalla madre divina Venere, salva il vecchio padre Anchise e il figlio Ascanio (Iulo) fuggendo dalla città in fiamme.
Durante la fuga Enea recuperò gli Dei Penati e le sacre funzioni, ma perse la moglie. Il viaggio di ritorno non fu semplice: affrontò le Arpie, udendo i faticosi destini dalle fauci di Celeno; dovette poi rifugiarsi presso le coste dell’Epiro, ospite di Eleno il profeta e di Andromaca; il padre Anchise morirà presso le coste di Segesta, le donne stanche di peregrinare per il mare bruciarono le navi; a causa di un forte fortunale nel mezzo del Canale di Sicilia Enea dovrà poi approdare forzatamente sulle coste della Libia, dove sarà ospite forzato di Didone, regina di Cartagine.

Ma il viaggio di Enea nell’Eneide non finisce qui: se non fosse stato per l’intervento di Venere, che scatenò il fuoco fatuo tra i capelli di Iulo, Enea sarebbe rimasto a Cartagine disobbedendo al suo fato. Giunto alle coste italiche Enea perde due persone a lui care: il timoniere Palinuro e la nutrice Caieta ma approda anche a capo Miseno dove incontra la Sibilla che l’accompagna nella discesa negli Inferi attraverso una grotta del lago Averno: qui vede le grandi anime che segneranno il destino di Roma. Giunto alle coste presso Lavinio vede l’avverarsi della profezia di Celeno, i compagni di Enea e persino Iulo svuotano la stiva e colti dalla fame divorano pure le mense fatte di pane nero duro. Ma non possono riposarsi a lungo: in molti, come Turno, non possono tollerare l’arrivo degli stranieri. Enea deve così stringere patti con re Latino di Lavinio che promette sua figlia in mano ad Enea per la nascita di nuova stiripe, con alcuni lucumoni etruschi e con il re Evandro di origine arcadica che stava in un villaggio sul colle Palatino. Aletto innesca a quel punto la guerra facendo uccidere la Cerva Sacra dei Rutuli (capeggiati da Turno) da Pallante e Iulo. La guerra italica si scatena falciando innumerevoli persone ed eroi: Camilla, Pallante, Eurialo, Niso e Mesenzio trovano l’Ade nei campi di battaglia. Il duello tra Enea e Turno sigilla la guerra: vince Enea. Ascanio fonderà poi Albalonga; da Numitore (secondo l’eneide) discesero Romolo e Remo. Romolo cingendo l’area sacra del colle Palatino con l’aratro fonda infine Roma.


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