Durante i primi tempi dell’occupazione romana della Sardegna avvenuta nel 238 a.C.; gli abitanti di Karales proseguirono a vivere nelle loro case, come ci ha dimostrato lo scavo delle abitazioni in Via Brenta e dintorni. Ma, entro la prima metà del II secolo a.C. si assistette ad un radicale spostamento della vita cittadina. La zona costiera dello Stagno di Santa Gilla viene abbandonata in favore di un nuovo inediamente che si può collocare nell’attuale quartiere di Stampace.
Lì, nella zona di via Malta, i mercatores italici, i ricchi mercanti che trasportavano merci e derrate da e verso la penisola italiana, impiantarono, probabilmente, poco prima della metà del II secolo a.C., un tipo particolare di santuario, ostituito da un piccolo edificio templare preceduto da una gradinata curva, simile a quella di un teatro.
Il entro della vita urbana, il Foro, si situa all’incirca nell’attuale Piazza del Carmine, nei cui immediati pressi si situano complessi termali databili in età imperiale: in viale Trieste , in via Sassari, nel largo Carlo Felice, in Via Giovanni Maria Anjoi.
A nord dell’abitato si trovava il grande anfiteatro scavato nella roccia.
Di aspetto elissoidale, sfruttava una spaccatura naturale della roccia, regolarizzandola e ricavando sui lati le ampie gradinate. La parte interna sotterranea vede gallerie, corridoi e scale che erano utilizzate per distribuire il pubblico nei diversi spazi più angusti che dovevano essere destinati a tenere le belve da utilizzare nei giochi.
L’area dell’anfiteatro e quelle adiacenti dell’orto botanico e del convento di viale Frà Ignazio mantengono le tracce delle imponenti opere idriche che dovevano servire la città. Lungo viale Merello deviava appunto verso questo monumento, dove si sono evidenziati numerosi canali di adduzione dell’acqua in un intricato complesso di cisterne tra loro comunicanti.
Destinati a necropoli sono il colle di Tuvixeddu e la zona dell’attuale viale Sant’Avendrace, dove si trovano numerosi colombari (camere sepolcrari con piccole tompe a nicchia che contenevano urne di incinerati) e dove si collocavano anche tombe monumentali come la cosidetta Grotta della Vipera. Scavata nella roccia presenta un frontoncino triangolare ornato con figure di serpenti ed iscrizioni fra le quali è celebre quella della moglie Atilia al marito Cassia Filippo. Altre tombe sono state trovate nel viale regina margherita, riferite soprattutto a marinai della flottta romana di stanza a Cagliari.
Questo era il testo inciso nella grotta della vipera di Cagliari, tradotto in italiano dal greco:
Che le tue ceneri, o Pomptilla, fecondate dalla rugiada, si
trasformino in gigli e in un verde fogliame dove risplende-
ranno la rosa, lo zafferano odoroso e l’imperituro amaran-
to. Possa tu diventare ai nostri occhi il fiore della bianca
primavera, affinché, come per Narciso e Giacinto, que-
st’oggetto di lacrime eterne, un fiore, trasmetta il tuo nome
alle generazioni a venire. Quando Filippo sentiva già la
sua anima abbandonare il suo involucro mortale, e già le
sue labbra avvicinarsi al Letè, tu ti sacrificasti, o Pomptilla,
per lo sposo morente, e riscattasti la sua vita a prezzo della
tua. Così un dio ha spezzato questa dolce unione; ma se
Pomptilla si è sacrificata per salvare lo sposo amato, Filip-
po, vivendo nel rimpianto, chiede ardentemente di riunire
presto la sua anima a quella della più tenera delle spose